Di fronte alle opere scultoree di Gianni Aricò soprattutto
quelle monumentali ci si deve soffermare sui rapporti spaziali delle masse
plastiche; esse si inseriscono infatti in ampiezze ragguardevoli, moltiplicate
in una struttura composita che si fa corposa narrazione di un evento , dove
campeggiano figure umane e scarne strutture di decoro, e dove ogni parte
intrattiene a distanza un dialogo fitto con le altre. Di un vigoroso
espressionismo tendente all’astrazione, i lavori di questo artista interagiscono
con la luce e l’ombra tramite l’incavo e il tuttotondo. A volte sono forme apollinee,
colte dinamicamente in posture eleganti e strutturate in una narrazione piana e
serena; in altri casi invece la pelle della materia scultorea è tormentata da
un sommovimento che la rende aspra, imprigionando la forma umana in una sorta
di bozzolo psicologico, in un grumo emotivo, che stilisticamente la riconduce
all’estremo limite della non forma, senza per questo cancellarne la piena
riconoscibilità, In ogni caso le diverse consistenze materiche di cui sono
fatti i suoi lavori, legno, vetro, bronzo, o marmo, determinano irrevocabilmente
le scelte formali.F
Il bronzo, è quindi portatore delle espressività più forti,
come nel caso del Monumento al soldato d’Italia di Pederobba (TV), antiretorica
commemorazione della Prima Guerra Mondiale, dove venti statue a grandezza
naturale segnano, come in una via crucis, le tappe del dolore e di un’inutile
strage senza vincitori; qui, anche l’elemento scenico dell’arco che potrebbe
alludere alla vittoria, appare esile e precario, e comunque da collegare
visivamente a una rozza croce ai cui piedi si celebra una sorta di laica
deposizione. ll marmo bianco di Carrara si coniuga a sua volta nelle superfici
lisce e geometricamente calibrate del Monumento a Vivaldi di Vienna dove tre
squisite musicanti disegnano nell’aria, con i loro strumenti a corde, le
armonie sonore delle Stagioni,. Luminoso e sorprendente è invece il vetro,
tramite il quale lo scultore accede al sublime nella visione aerea del Cristo,
che appare nella chiesa francescana di Medjugorje in Erzegovina, trattenuto nel
vuoto abissale da cavi in tensione,. Su questa opera vale la pena di
soffermarsi, per la forte suggestione che emana il corpo vetroso, che pure genialmente allude
a una resurrezione della carne in una materia altra. Di solida consistenza
anche se non più serena, mantiene la postura classica della crocifissione e
insieme suggerisce l’idea di un volo liberatorio verso il cielo: peraltro, la
testa di vetro e ore è segnata da una sofferenza tangibile, che contiene la
memoria della reincarnazione. Di uguale drammatica suggestione è il Monumento
alla pazzia, che si erge nell’Isola di San Servolo, nella laguna di Venezia; il
luogo spiga il tema, essendo stato la sede di un manicomio fino alla riforma
Basaglia, e quindi convertito in centro culturale. La grande statua in bronzo
riecheggia il mito di Niobe, vittima di una divinità assassina e furiosa, che
le ha ucciso i figli di cui era troppo orgogliosa. Fuse in un unico corpo , le
figure della dea e della madre, che stringe a sé la sua creatura in un’inutile
difesa, sono fortemente caratterizzate nei tratti del volto lo o sconvolgimento
emotivo è tutto espresso nelle profonde cavità degli occhi e della bocca, nelle
posture frementi dei corpi, e nei capelli che appaiono scomposti e stracciati,
come fossero sottoposti in una furia distruttiva e impietosa. Il bronzo verde e
variegato, che è aspro e corroso sulla superficie, trascolora sul dorato nei
profili, con risultati squisitamente pittorici.
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